Dietro l’ironia pungente e la rabbia contenuta di “Ho capito”, c’è la voce di Matoh che si fa portavoce di chi non si sente rappresentato. Il brano è un esercizio di verità in forma musicale, un modo per restituire spazio a chi non vuole più tacere. Tra sarcasmo e consapevolezza, Matoh scava nel disagio di chi è stanco di sentirsi giudicato. In questa intervista, ci parla del suo bisogno di autenticità, del rifiuto dell’omologazione e di come la musica possa diventare uno strumento di liberazione.
“Ho capito” è il tuo primo singolo: perché hai scelto proprio questo brano per iniziare?
“Ho capito incarna perfettamente il mio spirito critico e provocatorio. Serviva un brano che urlasse al mondo che ci sono, adesso starà a me dimostrargli che ho anche qualcosa da raccontare.”
Quali sono stati i timori e le soddisfazioni nel pubblicare la tua prima canzone?
“Il timore è sempre lo stesso: non essere capito (ironico visto il titolo del brano). Ma tutte le paure sono state spazzate da un'inaspettata accoglienza da parte di amici e sconosciuti, e sentirsi dire anche un semplice ''ben fatto'' mi fa pensare che dopotutto vale la pena affrontare i timori del giudizio e le ansie da prestazione, se tutto ciò serve a realizzare il mio sogno: connettermi e comunicare.”
Cosa rappresenta per te questo debutto, artisticamente e personalmente?
“Per me è già più di tutto ciò che avrei mai potuto immaginare. Il primo piccolo mattoncino è stato piazzato, adesso l'obiettivo è costruire, pur mantenendo sempre il focus sui singoli mattoncini.”
Hai già altri brani pronti o stai ancora esplorando?
“Sono in costante ricerca di nuove immagini, emozioni, storie. Ho scritto già molti altri brani, alcuni dei quali sono già in produzione, e attendo con ansia il momento in cui vedranno la luce. Il bisogno di scrivere e raccontare, però, sono sicuro che ci sarà sempre.”
Dove ti immagini tra un anno, con la tua musica?
“Non saprei dire dove mi immagino, però so dove vorrò essere: qui. Non geograficamente, ma mentalmente. Spero di avere sempre la stessa ansia "pre uscita", e le stesse paure di oggi. Ad oggi è questo che alimenta il mio bisogno di scrivere, e penso (forse spero) che possa rimanere sempre così.”