Mattia Filippetto, in arte Finecielo, muove i suoi primi passi nell’ambiente musicale padovano, collaborando a diversi progetti, alcuni dei quali ancora attivi, che spaziano dalla musica pop-rock al cantautorato italiano classico, portandolo a suonare in location di risalto di tutta Italia. Registra il suo primo disco solista nel 2022, “FINECIELO”, che raccoglie dieci pezzi autobiografici scritti a cavallo dei due anni precedenti e li immerge in un’atmosfera acustica dai connotati intimi e personali. Il disco verrà poi presentato a Padova e Treviso, in due eventi congiunti a Suoni di Marca (TV) e nella splendida cornice del Belle Parti di Padova, in occasione dell’uscita del primo singolo. Attualmente è impegnato nella promozione dei suoi lavori, tramite canali indipendenti, e nella scrittura di nuovo materiale.
Come e quando ti sei avvicinato alla musica?
Imbracciai una chitarra per la prima volta a tredici anni, grazie ad un laboratorio extra scolastico gestito dal mio professore di musica dell’epoca. Se devo essere sincero, non ricordo esattamente il motivo che mi spinse a provare lo strumento (verosimilmente per far colpo sulle ragazze), ma decisi di dargli una possibilità.
Una schitarrata dopo l’altra, mi sono fatto strada nel mondo delle sei corde, imparando prima gli accordi base, e azzardando successivamente qualche risalita del manico, per le parti più melodiche o soliste. Fu quando però scoprii il blues che la mia vita artistica svoltò definitivamente: fu un amore a prima vista che non mi abbandonò più, e che plasmò radicalmente il mio modo di suonare la chitarra e di approcciare la musica.
Chi sono i tuoi artisti di riferimento?
Posso individuare le origini della mia passione per la chitarra (e per il canto) nel blues, la prima forma musicale che abbia mai intercettato il mio animo, stregandolo: i motivi alla base del blues, mi hanno fatto comprendere il potere della condivisione, della catarsi artistica, e che un vecchio bracciante dell’Alabama può tenere in scacco il mondo intero con una chitarra acustica scassata e qualche dramma amoroso ben conservato; mi ha anche insegnato una delle lezioni più importanti della mia vita da musicista: usa l’orecchio! Non essendo mai stato una grande studente di teoria musicale, gran parte di quello che ho imparato sullo strumento proviene da un ossessivo ascolto dei miei dischi preferiti, e dal tentativo di emulare ciò che sentivo: è un percorso ostico, ma ripaga immensamente.
L’amore per la canzone italiana la devo invece al grande cantautorato delle origini. Credo sia alquanto evidente la mia discepolanza Faberiana, dal quale ho mutuato anche la passione per il ‘racconto musicale’, ovvero la trasposizione in musica delle storie di vita quotidiana, oltre che una profonda fascinazione per le vicende degli ultimi e dei diversi, dei folli e dei corrotti. Da Guccini a Dalla, da De Gregori a Vasco, passando per il sodalizio iperuranico con Gianmaria Testa, la grande musica del nostro paese si è fusa in quello che potete ascoltare ora, facendomi capire il potere che la lingua italiana possiede nella commistione di musica e versi, e che non abbiamo molto da invidiare in tal senso ai grandi cantautori d’oltreoceano, che pure sono stati per me una grande fonte d’ispirazione.
Concludendo: l’irruenza blues (e direi, traslando, rock) e la dolcezza cantautorale convivono in me, rivelandosi in varia misura a seconda delle occasioni. Proprio per questo non mi faccio mancare niente, e qualche volta ci scappa pure l’assolo selvaggio...senza esagerare.
Come nascono le tue canzoni?
Sempre allo stesso modo: un giorno insospettabile, in cucina, davanti ad un caffè. Nascono poi dall’esigenza di far chiarezza con me stesso, una sorta di strumento curativo.
Infine nascono velocemente, in maniera esondante, in accordo con la loro natura viscerale.
Le canzoni sono una questione d’attesa: sono loro ad arrivare a me, attraverso il tempo e la vita vissuta, per consegnarsi come una sorta di verità. Il mio scopo non è altro che riportare.
Cosa ne pensi del panorama musicale odierno?
Domanda di riserva?
Ahaha.
Si scherza.
Lungi da me fare di tutta l’erba un fascio. Ciò che tuttavia mi destabilizza maggiormente della scena musicale italiana, è il completo ribaltamento del suo ramo mainstream, sempre più centrato sulla caratterizzazione dell’artista (il ‘personaggio’) più che sulla musica in sé e per sé.
La monopolizzazione di tale ecosistema da parte di alcuni produttori ed editori inoltre, fa capire come la ricerca della varietà artistica e sonora sia un aspetto sempre di minor rilevanza all’interno del mondo ‘big’, che favorisce l’uniformità stilistica in favore della massimizzazione di interazioni digitali.
Discorso parzialmente diverso per la fascia ‘indipendente’, o comunque per tutto quel ‘sottostrato’ musicale parallelo alle correnti maggiori, che pur mantenendo una certa autonomia (e quindi un certo livello di differenziazione), difficilmente riesce a dare ai propri artisti un respiro nazionale, vera prerogativa di investimenti cospicui e canali preferenziali.
Ad ogni modo, la musica italiana oggigiorno ha ancora molto da offrire, e possiede una varietà artistica notevole che necessiterebbe di esser resa protagonista di un panorama in forte carenza d’ossigeno.
Parliamo del tuo nuovo singolo. Come è nato? E che riscontro sta avendo con il pubblico?
Il pubblico sta apprezzando molto ‘La Resa’, e credo per il semplice motivo che il suo messaggio tocca chiunque, dato il suo carattere universale.
E’ un pezzo che nasce dal bisogno di far chiarezza su un aspetto particolare: l’abbandono di sé stessi, inteso come deviazione dai nostri principi fondamentali, quelli che regolano il nostro incedere nella vita.
Questo fatto è strettamente legato a ciò che penso degli esseri umani in generale: ovvero che siano portatori ciascuno di un messaggio unico e irripetibile, un gesto che li contraddistingue e che li rende speciali definendone il loro posto nel mondo.
In tal senso, credo che il senso della vita risieda proprio nell’onorare quel gesto, protraendolo come una sorta di ringraziamento, fino al massimo delle sue possibilità.
E’ per questo che mi colpisce molto a livello narrativo la disunione: quando ci si concede ad una piccola morte, e si getta la vita come un’occasione sprecata.
Ci sarà un album in arrivo? Cosa ci puoi anticipare al riguardo?
FINECIELO, l’album da cui ‘La Resa’ è tratto, è già fuori ovunque in tutte le piattaforme di streaming.
E’ un lavoro molto personale ed autobiografico, che racconta della difficoltosa transizione verso l’età adulta, fatto per me avvenuto a cavallo dei vent’anni.
In tal senso si configura come una sorta di ‘concept album’, il cui filo rosso è appunto il concetto di crescita: consiglio quindi l’ascolto completo, pezzo dopo pezzo, per apprezzarlo al meglio.