NOCRAC: il viaggio emotivo di “Sexy Droga” comincia con “Malincocktail”


Con un linguaggio che gioca costantemente sul filo tra ironia e malinconia, i NOCRAC inaugurano il loro primo album con la pubblicazione del lato A di “SEXY DROGA”, un disco d’esordio che si presenta subito come un’esperienza sensoriale, narrativa e affettiva. Quattro tracce per entrare in un universo sonoro fatto di crepe lucide, romanticismi sbagliati, verità sussurrate a metà e dettagli imperfetti che diventano rivelatori.

Il primo estratto, “Malincocktail”, è già una dichiarazione d’intenti: un neologismo che racchiude tutto il senso di questo lavoro, sospeso tra la vertigine dei sentimenti e la loro messa in scena consapevole. Scritto insieme a Maria Mirani, il brano prende spunto dal romanzo Alexis di Marguerite Yourcenar e funziona come manifesto di un disco che non ha paura di inciampare, di mostrarsi storto, di raccontare l’intimità con leggerezza senza tradirne il peso.

Abbiamo intervistato i NOCRAC per capire meglio come nasce “Malincocktail”, cosa unisce i brani del primo lato e in che modo “SEXY DROGA” prova a raccontare un’umanità fragile, sbavata e lucidissima.

“Malincocktail” è un titolo che unisce malinconia e ironia. Come siete arrivati a questo neologismo e cosa racchiude davvero?
Malincocktail è nato come una parola-sintomo. Dentro ci sono due registri che convivono senza fondersi: malin- come malinconia (ma anche, in francese, “malin”: furbo, ambivalente), e cocktail come miscela, dipendenza, formula emotiva che si ripete.
Il titolo è venuto prima del testo, che ho scritto con Maria Mirani e prende spunto dalle pagine di Alexis di Marguerite Yourcenar, ma dopo l’idea del concept generale del disco. Come una cornice per capire cosa volevamo raccontare. È una parola che sembra un ricordo, ma non lo è. Una specie di macchina affettiva che parla di loop interiori, di esperienze che non finiscono ma tornano, ogni volta con un gusto leggermente diverso. Ci piace costruire immagini così: sospese tra ironia e peso specifico, tra trucco e sintomo.
Malincocktail è anche un piccolo paradosso: una parola nuova fatta con pezzi vecchi. In questo senso, è perfettamente retromaniaca, ma non in senso nostalgico: ci piace usare il vintage come scorciatoia emotiva, per poi sabotarlo un po’.

Il brano descrive emozioni sbavate, disordinate, come lo smalto steso male. È una metafora che ritorna anche negli altri brani del lato A di “Sexy Droga”?
Sì, c’è una tensione ricorrente verso il dettaglio fuori posto. Lo smalto steso male è un piccolo segno che racconta un’intera postura: voler aderire a qualcosa – a un’immagine, a una relazione, a un tempo condiviso – ma farlo con un lieve scarto. E allo stesso tempo si descrivono condizioni emotive annebbiate, sono testi che raccontano momenti vissuti sul filo dello squilibrio.
Sexy Droga  è pieno di questi microfallimenti estetici. Ci interessa il momento in cui le cose sembrano ancora funzionare, ma mostrano già la crepa. Non parliamo di disfatte epiche, ma di incrinature quotidiane. Una voce un po’ stonata, un synth un synth in ritardo, un pensiero che non si completa. Sono tracce di un’umanità che non ha bisogno di farsi perdonare per essere imprecisa.

La leggerezza con cui trattate temi pesanti è disarmante. È una strategia consapevole o un’attitudine istintiva alla scrittura?
Direi consapevolmente istintiva.
Siamo circondati da linguaggi iper-carichi, confessionali, tragici. Noi volevamo stare in uno spazio intermedio: parlare di emozioni vere senza scadere nel teatro dell’autenticità. Le parole e i suoni di un disco vivono in uno spazio semantico che è diverso da quello della vita vissuta e la profondità di concetti, sentimenti espressi, etc., sono semplicemente più interessanti se, consapevoli di questa cosa. Quello che può sembrarci autentico lo è soltanto, comunque, da una prospettiva soggettiva e quindi inevitabilmente relativa o sbagliata.

Il lato A di “Sexy Droga” sembra fotografare il momento in cui ci si rende conto che qualcosa si sta sgretolando. In che modo “Malincocktail” introduce o anticipa questa frattura?
Il libro di Yourcenar che ha ispirato il testo è la lettera di un uomo che confessa la propria omosessualità alla moglie. Malincocktail, invece, sembra la confessione di un fallimento esistenziale.
Il personaggio capisce che la messa in scena non regge più, ma continua a recitarla con cura. È quel momento in cui si comincia a dire la verità, ma solo a metà, perché dire tutto farebbe crollare la scenografia.
Un quasi crollo dove lucidità e offuscamento convivono.

C’è un filo che unisce i pezzi del lato A dal punto di vista emotivo, o sono tutte variazioni dello stesso disagio?
In questo lato ci sono solamente i primi quattro pezzi di quella che a noi piace chiamare “l’epopea di sexy droga”. Un quadro quasi completo di questo lavoro lo si potrà vedere solo quando sarà pubblicato al completo.
Posso dirti che questi brani sono variazioni che nascono tutte da uno stesso rumore di fondo,  sono fotogrammi di un paesaggio interiore: si dorme poco, si aspetta qualcosa che non arriva, si parla con l’eco di una relazione che è già andata.
Il filo è anche temporale: i brani si muovono dentro una notte lunga come una specie di mappa affettiva disordinata.

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