“Goditi la scena” è il nuovo singolo di Edoardo Fabbretti: una riflessione sincera su solitudine e consapevolezza


Con Goditi la scena, Edoardo Fabbretti dà voce a una canzone scritta anni fa e rimasta in sospeso fino a oggi. Recuperata durante il lockdown e rielaborata con nuovi arrangiamenti, la traccia affronta il tema della solitudine e delle relazioni finite, senza retorica ma con autenticità.
Il brano nasce da un’urgenza personale, ma lascia spazio all’interpretazione di chi ascolta. Tra atmosfere da viaggio e parole disincantate, Fabbretti racconta un percorso che non è evoluzione, ma trasformazione naturale: da batterista curioso a cantautore ironico e diretto.
Nell’intervista ci parla della genesi del brano, della libertà artistica, del suo rapporto con il pubblico e di cosa significa, oggi, riconoscere il momento giusto per voltare pagina.

Puoi raccontarci come è nata l'ispirazione per "Goditi la scena"?
È una canzone scritta diversi anni fa. È nata un po’ da sola, forse figlia di alcune vicende vissute. Ad essere sincero non ricordo bene nello specifico . Certo è che a un certo punto l’ho ritrovata e ho deciso di darle una veste e una sua dignità a discapito della mia.

Hai menzionato la libertà di dare a ogni canzone la sua veste naturale. Come hai deciso l'atmosfera e lo stile musicale per questo brano in particolare?
Inizialmente non era che un testo con degli accordi sopra. Durante il periodo di lockdown ho raccolto un po’ di materiale scritto negli anni e, un po’ per passatempo e un po’ per bisogno, ho cominciato a giocare con gli arrangiamenti. Su Goditi la scena ho cercato di alleggerire con la musica tutto ciò che sentivo pesante sul testo. L’intro che fa il piano mi dà una sensazione di viaggio in macchina. Forse sì, è una canzone da viaggio.
Noto che però ognuno ha una lettura personale ed anche l’atmosfera che provo a disegnare non è universale. Magari per te che l’hai appena ascoltata è una canzone da mare o da montagna. Sarebbe bello fare questa domanda agli ascoltatori.

Come descriveresti l'evoluzione della tua musica, passando dall'essere batterista a un cantautore?
Non è un’evoluzione. È un processo naturale alimentato dalla curiosità. Non smetto certo di essere batterista, a seconda delle occasioni faccio solo un cambio d’abito. Sono un batterista non troppo fissato con la batteria. Ho sempre ascoltato la musica nel suo insieme prima di analizzarla. Anche per questo la batteria nelle mie canzoni non ha un ruolo centrale.

Il tema della solitudine e delle relazioni destinate a finire è centrale in questo brano. Qual è il messaggio che desideri trasmettere agli ascoltatori attraverso questa canzone?
La solitudine ho notato che è centrale nella maggior parte delle cose che scrivo però non mi sento solo, anzi, forse ho solo paura di stare solo. In passato in alcune circostanze ho provato cosa significa e non è una bella sensazione. Ci si può sentire soli anche in mezzo a tanta gente (ricordando
Jannacci), ci si può sentire soli anche in una relazione quando capisci che quello che fai non è apprezzato o semplicemente non è abbastanza.
Non so se ho messaggi da dare, posso solo dire che quando realizzi di stare in una relazione a tempo determinato è meglio chiudere che ostinarsi a far finta di provare quello che non provi. Non è facile perché proprio per paura di star soli facciamo un sacco di cazzate e finiamo per vivere la vita degli altri e non la nostra. Ma di questo parlo in un’altra canzone.
Per fortuna da qualche anno ho un equilibrio molto più sano per cui inizio a sentire questa canzone lontana anni luce.

Come vedi il ruolo delle tue canzoni nel dialogo emotivo con il pubblico?
Cerco sempre con ironia di esprimere ciò che in pochi captano nel quotidiano. Sarebbe bello un mondo dove le canzoni hanno il potere di cambiare l’umanità che sta dentro le persone. Qualcuno in qualche modo c’è riuscito. I miei miti sono stati un po’ la mia filosofia o anche religione per prendere gli eventi o la vita stessa con più armonia.
Mi piace raccontare ma soprattutto mi diverto a farlo.

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