Con “Mantra” i Lande firmano uno dei loro brani più significativi, un punto di svolta che unisce ricerca sonora ed emozione immediata. Il singolo nasce dal bisogno di trovare un equilibrio naturale tra sperimentazione e accessibilità, senza perdere coerenza né identità.
L’elettronica diventa per la band un linguaggio emotivo, capace di restituire fragilità e tensione, mentre il processo creativo resta fluido: nessuna formula predefinita, solo un’intenzione che prende forma strada facendo.
“Mantra” rappresenta per i Lande un vero approdo, il momento in cui suono, testo e immaginario trovano finalmente un centro comune. Nell’intervista ci guidano dentro questo nuovo capitolo e nella loro continua esplorazione musicale.
Come gestite il confine tra sperimentazione e accessibilità nel vostro sound?
Cerchiamo un equilibrio che non sia artificiale. La sperimentazione per noi non è mai un esercizio di stile: nasce dal bisogno di raccontare qualcosa nel modo più preciso possibile. Allo stesso tempo non vogliamo che il brano diventi un codice indecifrabile. L’accessibilità non la viviamo come un limite, ma come una responsabilità: permettere a chi ascolta di entrare nel nostro mondo senza dover forzare la porta. Se una scelta sonora rischia di essere troppo fine a sé stessa, ce ne accorgiamo. Preferiamo quando il rischio e la riconoscibilità convivono.
Cerchiamo un equilibrio che non sia artificiale. La sperimentazione per noi non è mai un esercizio di stile: nasce dal bisogno di raccontare qualcosa nel modo più preciso possibile. Allo stesso tempo non vogliamo che il brano diventi un codice indecifrabile. L’accessibilità non la viviamo come un limite, ma come una responsabilità: permettere a chi ascolta di entrare nel nostro mondo senza dover forzare la porta. Se una scelta sonora rischia di essere troppo fine a sé stessa, ce ne accorgiamo. Preferiamo quando il rischio e la riconoscibilità convivono.
Cosa intendete quando dite che “Mantra” vi ha fatto pensare di essere approdati a qualcosa”?
È stato un momento in cui ci siamo resi conto che quel pezzo metteva a fuoco una direzione che cercavamo da tempo. Non una formula, ma una coerenza interna: il modo in cui testo, sound e immaginario stavano insieme. “Approdo” non significa “fine del viaggio”, anzi: è piuttosto la sensazione di aver trovato un terreno su cui poter costruire, come se alcuni elementi che avevamo trattato separatamente avessero finalmente preso forma in un unico gesto.
Avete una visione precisa del suono finale o lasciate che emerga in modo naturale?
Dipende dal brano, ma in generale partiamo con un’intenzione emotiva più che con un’immagine sonora rigida. Il suono finale emerge mentre lavoriamo: alcune scelte sono istintive, altre diventano chiare solo quando ci accorgiamo che un dettaglio apre una strada nuova. È un processo fatto di tentativi, ripensamenti e ascolto reciproco. Non ci piace forzare una forma prestabilita; preferiamo riconoscere quando il brano ci sta indicando lui in che direzione andare.
L’elettronica per voi è più uno strumento o un linguaggio emotivo?
Per noi è entrambe le cose. È uno strumento perché ci permette di modellare il suono con precisione chirurgica, ma è anche un linguaggio emotivo perché sa restituire sfumature impossibili con altri mezzi. Le texture elettroniche, i campionamenti imperfetti, le ritmiche un po’ sbilenche: tutto questo per noi diventa un modo di raccontare fragilità, tensione, attesa. Non usiamo l’elettronica per “modernizzare” il brano, ma per esprimere qualcosa che altrimenti resterebbe senza forma.
Se poteste collaborare con un artista per spingervi ancora oltre, chi scegliereste?
Ci affascinerebbe collaborare con qualcuno che abbia una forte identità sonora ma una visione aperta. Penso a produttori o artisti che lavorano sul confine tra canzone e ricerca, come Iosonouncane, Daniela Pes, Giorgio Poi, Venerus od okgiorgio. Sognando e pensando più in grande pensiamo a Bon Iver, Tame Impala, Air o James Blake. Sono tutte figure capaci di portare la sperimentazione dentro un linguaggio umano e riconoscibile. Lavorare con qualcuno così ci costringerebbe a uscire dalle nostre abitudini senza perdere la nostra voce.

