"Il Declamatore" dei Stanislao Sadlovesky: oltre i confini della musica convenzionale


Stanislao Sadlovesky. Un'entità ontologica emerge intermittente dall'oscurità, come lampi di magnesio portatori di codici semantici e lessicali altri. Non ha volto, non ha collocazione geografica o anagrafica. È la voce interiore che si colloca tra il metapensiero e il reale, un'allucinazione acustica ipnagogica. Viene da un mondo con cicli solari velocissimi e stagioni dispari, modulate su interferenti flussi di coscienza a più livelli. Domina un senso di sovvertimento di tutte le leggi semantiche e di natura. L'impressione è di conversare con il je est un autre di Rimbaud, osservando le albe di una città a due soli mentre l'asfalto suppura delle rivolte dei vivi, o dei morti che si credono vivi, in una danza macabra ematica. Il cranio viene infilato tra due elettrodi che funzionano come casse sintonizzate su due canali audio divergenti, declinando i pensieri in modi e tempi differenti. Ed ecco che poi il lessico familiare si fa sottolinguale, una sorta di filastrocca autistica, dipanata tra i denti all'inizio di un giorno già finito. Stanislao è un viaggio sonoro, visivo e sinestetico che ci lascia attoniti, stralunati, altrove, con la corteccia cerebrale avvolta nel nastro isolante. Echi sonori sembrano provenire da galassie sconosciute, forse già collassate.
  Arrivano come un'onda gravitazionale in differita. È una nuova declinazione (o deviazione) di teatro distopico che spiega se stesso, ogni volta diversamente, senza necessità di esegesi, semplicemente esistendo. 
 
"Il Declamatore" è un'opera che sembra immergere l'ascoltatore in un viaggio profondo nell'inconscio. Qual è il concept dietro questo album e cosa volete trasmettere attraverso questa esperienza sensoriale?
Immergere l’ascoltatore in un viaggio profondo nell'inconscio, esperienza sensoriale… la domanda è talmente pertinente che una risposta potrebbe solo guastarla. In realtà è stato creato ed inciso tutto in maniera molto naturale, veloce e spontanea. Testi e musica si sono fusi fisiologicamente. È la magia della sintonia.
 
Durante le vostre esibizioni dal vivo, come cercate di connettervi con il pubblico? Qual è l'elemento che credete renda le vostre performance particolari?
Per ora il live resta un progetto, ma, avendo scelto di non mostrare i nostri volti, probabilmente sarà visivo e lucente.
 
Oltre alla musica, c'è un messaggio o un tema centrale che sperate emerga nel vostro lavoro complessivo, specialmente nell'album "Il Declamatore"?
Non c'è nel vero senso della parola. Abbiamo seguito il flusso, l’album in un certo qual modo si è composto da solo, noi l’abbiamo solo assecondato. Ad un certo punto abbiamo detto: basta, è lui. Ed era completo. Ascoltandolo dall'inizio alla fine pensiamo che sia un viaggio che vale la pena intraprendere, dove tutti gli elementi sono al posto giusto.
 
Come vedete l'evoluzione della vostra musica nel tempo? Ci sono nuovi suoni o sperimentazioni che vorreste esplorare in futuro?
Non abbiamo ancora pensato a nuove composizioni, ma le caratteristiche di questo primo passo sono state la spontaneità, il divertimento, la creatività estemporanea. Probabilmente lo saranno anche del secondo.
 
Infine, cosa rende unica la vostra band?
Le canzoni, i testi, le composizioni, le descrizioni, le grafiche, le foto, l’approccio. Forse anche le interviste.

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