Alcunelacune: il suo modo di fare un collage

Si intitola “Coolage N.1” questo disco che sfoggia una personalità che al primo ascolto sembra non venir fuori come merita. Uno di quei dischi che richiede attenzione, personale modo di pensare al suono, richiede anche apertura mentale e non pregiudizio. Perché quegli stili classici a cui si appoggia per il suo shuffle, per le sue metriche, per molte soluzioni potrebbero farci archiviare la pratica come l’ennesimo disco di ennesime cose. Ma per la verità, il nuovo percorso personale di Andrea Ricci, ovvero Alcunelacune, è un percorso di dedizione alla vita, di forme libere e pulizia davvero credibile… ingredienti portanti di un disco che fa un collage assai “cool” della vita che accade attorno. Insomma: succede sempre di doversi impegnare con i dischi che sfoggia personalità… non a caso raccogliamo le risposte che seguono…


Di prima acchito questo titolo del disco mi rimanda alla bit generation e a quella tecnica di cut up e di collage delle parole. C’entra qualcosa?
Grazie, mi hai svelato qualcosa di me di cui non ero consapevole. La Beat generation. In fondo è da lì che molte cose sono venute. Un momento di grandi conflitti, un fenomeno propulsivo.
La tensione è una situazione che mi affascina. Quel momento in cui senti che le cose possono succedere. Stanno per farlo.
Poi, una volta partito il colpo, scoccata la freccia, è un attimo che ciò che era tensione si trasformi in tendenza, che secondo me ne è la degenerazione consumistica. 
Ed è buffo se ci pensi che movimenti di grande rottura come la beat generation e il punk utilizzassero la tecnica del collage di elementi dati per esprimere qualcosa di nuovo. O forse era proprio per sottolineare il fatto che alza questione non è estetica, ma di sostanza.
Sì, forse in questo senso mi ci ritrovo in qualche modo.

Che poi anche il suono ma soprattutto la forma delle canzoni sembrano inneggiare a questo tipo di libertà… sono totalmente fuori strada?
Sì dai, non sei fuori strada. Diciamo che questo disco è un primo tentativo di evasione. Già il fatto che possa parlare di forma canzone denota il fatto che ancora non sono riuscito a trovare la vera libertà. Comunque ci sto lavorando...
Al momento sono mi sono liberato dai generi. Il prossimo passo sarà liberarsi dalle strutture? Vedremo.

Perché inglese e italiano? Sai che non ho mai saputo dare una sola carta d’identità ai dischi multilingue… non so bene come dire…
La doppia cittadinanza non sarebbe male… peccato che la mia pronuncia inglese non sia certo da madrelingua!
Per me la musicalità viene prima; le parole sono suoni. Devono suonare bene.
Spesso questo mi rende molto difficile la scrittura dei testi soprattutto se sono da solo. Per fortuna su vari pezzi del disco ho collaborato con un caro amico, Manfredi Perrone, che invece sa scrivere. L’inglese per certe cose suona meglio e, anzi, il fatto che il senso sia meno evidente mi rende la vita più facile. Resta il fatto che Manfredi ha scritto 2 dei testi in inglese. Lui ha vissuto negli Stati Uniti, parla un ottimo inglese. Peccato che alla fine canti io…

“Lucky clover”: c’è tanto di quell’aria scanzonata leggera che inneggia anche alla rivista e all’avanspettacolo… detto questo, cosa rispondi?
I tuoi riferimenti nobilitano i miei esperimenti. Io vengo, tra le altre cose dallo ska, dalla patchanka. Da generi in cui l’idea di “festa” è molto importante ed a un valore non esclusivamente ludico quanto di condivisione. Di distrazione, che se collettiva non sarà mai improduttiva.

Le hai finalmente riempite alcune di quelle lacune?
Il fatto che tu mi stia facendo quest’intervista significa che alcunelacune sono state colmate perchè mi è stato possibile fare qualcosa che non avevo ancora mai fatto, ovvero un disco mio. Da solista.
Ma per colmare le proprie lacune, per trovare ciò che ci manca, si deve guardare fuori di noi. Si deve chiedere a chi è altro da noi e sperare di trovare le situazioni e le persone giuste.
Io sono stato fortunato. Ho trovato Manfredi Perrone, che ha partecipato alla scrittura dei testi e mi spinge sempre a guardare meglio le cose; Gianluca Mancini, con cui suonavo ai tempi dei Vallanzaska  mi ha accolto al Mai Tai Studio e cerca di farmi sentire le cose in modo diverso; Donato Brienza, che oltre a suonare la chitarra, mi prende per mano e mi tira fuori dalle paludi in cui spesso mi infilo.
Sono alcuni di quelli a cui devo dire grazie.
E ringrazio anche te. Perchè anche rispondendo alle tue domande ho colmato alcunelacune.
Ma ovviamente se ne scoprono continuamente di nuove.
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