Tra rabbia e fragilità: gli Heute Nebel affrontano le dipendenze con “L’ultima volta”

 

C’è un grido che non cerca pietà ma verità in “L’ultima volta”, il nuovo singolo degli Heute Nebel, disponibile su tutte le piattaforme digitali. La band ferrarese sceglie di mettere a nudo una realtà spesso taciuta, quella delle dipendenze, e lo fa con un linguaggio diretto, viscerale, senza filtri.

Fin dalle prime strofe, il brano scava nel tormento quotidiano di chi cerca di smettere, promettendosi ogni volta che sarà davvero “l’ultima sigaretta”. Una lotta impari tra volontà e abitudine, che genera rabbia, frustrazione, impotenza. Poi la scena cambia e il focus si sposta sull’alcol, ma il meccanismo resta lo stesso: un carcere interiore dove la fuga sembra possibile solo a parole.

Il finale non concede redenzione, ma piuttosto offre una lucidità tagliente: anche quando si cade, ci si rialza... pronti a cadere di nuovo. “L’ultima volta” è un pezzo amaro e sincero, che non vuole dare soluzioni ma accendere riflessioni. Gli Heute Nebel dimostrano ancora una volta la loro capacità di unire sonorità potenti a contenuti che colpiscono dritti allo stomaco.
 
“L’ultima volta” racconta la dipendenza come una lotta continua e senza fine. Quanto c’è di personale e quanto di osservazione esterna in questo brano?
C’è tanto di esperienze personali… il testo è stato scritto a sei mani quindi ogni persona che lo ha scritto ci ha messo del suo. La dipendenza può assumere moltissime forme e non capisco perché alcune forme debbano essere più stigmatizzate di altre. La prima strofa parla della dipendenza dalle sigarette, una dipendenza che ci vede coinvolti in prima persona sia come “vittime” che come osservatori; la seconda strofa parla della dipendenza dall’alcool che è una questione estremamente sfaccettata e sarebbe riduttivo affrontarla in poche righe. Nessuno di noi è alcolista (anche se non ci dispiace bere) ma c’è chi ha avuto un rapporto complesso con il bere… inoltre vediamo anche troppo spesso cosa succede a chi ne diventa schiavo.
 
Avete scelto di affrontare questi temi con una scrittura molto cruda, quasi diaristica. Cosa vi ha portati a questa scelta stilistica?
È una canzone molto intima e in cui esponiamo molte nostre zone d’ombra, proprio come si fa in un diario. Il collegamento è venuto quasi automatico: rendeva anche più semplice la resa del flusso di coscienza sottolineato dalla linea di basso.
 
La rabbia che emerge nella prima strofa sembra quasi diventare rassegnazione nella chiusura. È questo il messaggio che volevate trasmettere?
Sono due punti di vista diversi, due reazioni opposte ad un medesimo problema. Sarebbe ipocrita descrivere come unica reazione alla dipendenza quella dello sdegno e della voglia di uscirne. Alcune persone si cullano nella loro dipendenza e ci si abbandonano e pur vedendone le implicazioni negative ci si affezionano quasi. Non tutti lottano, alcuni si rassegnano.
 
C’è un passaggio in cui si accenna a una “dignità dello sconfitto”: quanto è importante per voi raccontare anche la fragilità, non solo la ribellione?
Importantissimo! Soprattutto per chi, come noi, spesso lotta e si ribella sapendo già di andare incontro ad una sconfitta… a volte passa anche la voglia di lottare e arrendersi non è necessariamente una vergogna, anzi. Odio il machismo militaresco del combattere fino alla morte e arrendersi o accettare una sconfitta a volte può essere segno di saggezza.
Siamo fragili e non proviamo vergogna nell’ammetterlo.
 
“L’ultima volta” si ferma a un passo dalla redenzione. Per voi è importante lasciare aperta la possibilità di un domani diverso?
Per noi è fondamentale! Mi viene in mente un brano dei Radiohead: “No allarms and no surprises, please”… spesso provo empatia verso questo verso ma altrettanto spesso mi fa incazzare e mi viene voglia di scuotere Thom Yorke e dirgli che non si può vivere in questo mondo. Va bene, come dicevamo prima, arrendersi e accettare la sconfitta ma un’alternativa va tentata o almeno vagheggiata, altrimenti si diventa amebe. Sembra in contraddizione con quanto detto prima ma c’è una bella differenza tra essere fragili ed essere amorfi…

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