FEBE è una giovane artista, nata in Italia e da quando era piccola ama la musica e l'arte. Il progetto su cui sta lavorando ha visto FEBE come creative director nell'intero processo, da scrivere le sue stesse canzoni, comporle e creando visuals. Mentre racconta dei suoi problemi di salute mentale che l'hanno colpita negli ultimi anni e libera le parole che non ha mai detto ad alta voce, esplora tanti generi differenti per trovare quello in cui si sente meglio.
Il nome FEBE è un elegante nome di origine
greca e significa "luminoso". Infatti, "Febo" era uno dei
tanti aggettivi usati per definire Apollo, dio della musica, delle arti, della
profezia e del sole. Il legame dell'artista con la mitologia greca e la musica
l'ha portata a scegliere "Febe" come nome d'arte.
Ciao Febe, presentati ai nostri lettori.
Ciao, sono Febe! Ho 23 anni, sono nata in Italia, precisamente vicino Firenze e da quando sono piccola amo la musica e l’arte. Sono qui per raccontarvi un po’ del mio primo singolo, What If, e del progetto musicale dietro di esso. Sono stata creative director di tutto quello che c’è dietro dalla musica, ai testi, alla grafica ai video; ho messo davvero anima e corpo in tutto quello che vedrete e sentirete. Spero che vi piaccia!
Come e quando ti sei avvicinata alla musica?
Ho sempre amato la musica, fin da quando ero bambina mi mettevo a disegnare e mi inventavo le canzoni sui personaggi che raffiguravo, alle recite qualche maestra già credeva in me e mi faceva cantare degli assoli, poi in quarta elementare ho iniziato chitarra e nel 2016 a prendere lezioni di canto dalla mia insegnante Luisella Sordini, che è una grande professionista e mi ha tirato fuori una voce che si vergognava a sbocciare. Per tutta la vita la musica è stata una colonna portante, mi ha salvata tante di quelle volte che non riesco più a contarle.
Chi sono i tuoi artisti di riferimento?
Le influenze musicali che ho assorbito in tutta la mia vita sono davvero da ogni genere, in what if si sente molto l’influenza di Lana Del Rey, nei prossimi sicuramente riconoscerete i Linkin Park, Justin Bieber, Avril Lavigne, Lene Marlin, The Canberries e i Coldplay. Altri grandi che adoro sono i Queen, li Wham!, i Green Day, i Nirvana, i Muse, i Maroon 5, The Weekend, Sting, David Bowie, Whitney Houston, Michael Jackson, oddio potrei continuare all’infinito…
Ciao, sono Febe! Ho 23 anni, sono nata in Italia, precisamente vicino Firenze e da quando sono piccola amo la musica e l’arte. Sono qui per raccontarvi un po’ del mio primo singolo, What If, e del progetto musicale dietro di esso. Sono stata creative director di tutto quello che c’è dietro dalla musica, ai testi, alla grafica ai video; ho messo davvero anima e corpo in tutto quello che vedrete e sentirete. Spero che vi piaccia!
Ho sempre amato la musica, fin da quando ero bambina mi mettevo a disegnare e mi inventavo le canzoni sui personaggi che raffiguravo, alle recite qualche maestra già credeva in me e mi faceva cantare degli assoli, poi in quarta elementare ho iniziato chitarra e nel 2016 a prendere lezioni di canto dalla mia insegnante Luisella Sordini, che è una grande professionista e mi ha tirato fuori una voce che si vergognava a sbocciare. Per tutta la vita la musica è stata una colonna portante, mi ha salvata tante di quelle volte che non riesco più a contarle.
Le influenze musicali che ho assorbito in tutta la mia vita sono davvero da ogni genere, in what if si sente molto l’influenza di Lana Del Rey, nei prossimi sicuramente riconoscerete i Linkin Park, Justin Bieber, Avril Lavigne, Lene Marlin, The Canberries e i Coldplay. Altri grandi che adoro sono i Queen, li Wham!, i Green Day, i Nirvana, i Muse, i Maroon 5, The Weekend, Sting, David Bowie, Whitney Houston, Michael Jackson, oddio potrei continuare all’infinito…
Come nascono le tue canzoni?
Di solito butto giù i pensieri nelle note, poi magari mi faccio un semplice giro di accordi e comincio a riordinare quei pensieri in una canzone, parto spesso dai versi perché sono più discorsivi e nelle mie note è pieno di concetti che voglio riuscire a spiegarmi. Una cosa che non voglio che manchi mai è il bridge, mi piace troppo quando la canzone prende una svolta diversa, è il momento che aspetto di più quando ascolto qualcosa perché di solito è diverso dalle strofe e il ritornello.
Cosa ne pensi del panorama musicale odierno?
A livello internazionale penso che ci sia più apertura che in Italia, ovviamente non mi piace la direzione della canzone corta che sta prendendo sempre più il sopravvento, io capisco che è anche questione di marketing, ma alla fine è l’ascoltatore che decide cosa è bello o meno, Bohemian Rhapsody non era una canzone di 3 minuti precisi, ma è sicuramente una delle più belle mai scritte e composte e se è tutta intera ancora oggi è solo grazie al pubblico che l’ha apprezzata in tutti i suoi lunghissimi 5:54 minuti. Una canzone deve essere autentica o -secondo me- non ti emoziona a sufficienza, non abbraccia chi la ascolta.
Invece nel panorama italiano secondo me ci sono ancora troppe poche donne nelle classifiche e ancora molta incertezza con il cantare in Inglese… Su quest’ultimo punto sembra come se la strada e il successo che hanno spianato e avuto Elisa, Zucchero e ora anche i Måneskin, non sia una dimostrazione sufficiente di come anche un artista italiano possa superare il confine e farsi sentire anche fuori da casa. Io sarò di parte perché scrivo in inglese, ma questo è quello che percepisco nel panorama attuale.
Parliamo del tuo nuovo singolo. Come è nato?
E che riscontro sta avendo con il pubblico?
Tutto è partito da un giro molto semplice di accordi, le note del mio telefono e una registrazione. Ho mandato la demo allo studio dove ho inciso tutto il mio EP, il Blair Witch House Studio, e dato un po’ di direttive su quale stile avrei voluto l’arrangiamento, poi ci siamo ritrovati, dopo le prime bozze, per discutere di cambiamenti e registrarla e devo dire che ce ne siamo innamorati tutti già dai primi ascolti. Ha qualcosa di speciale e autentico per me questa canzone.
Ci sarà un album in arrivo? Cosa ci puoi
anticipare al riguardo?
What if fa parte di un EP che uscirà presto, si chiama Drowning, ed è composto da cinque canzoni tutte di generi abbastanza diversi tra loro, unite da un’unica tematica che mi sta a cuore: la salute mentale, la solitudine, l’ansia, la paura di non essere ricambiati e l’arte come terapia.
Di solito butto giù i pensieri nelle note, poi magari mi faccio un semplice giro di accordi e comincio a riordinare quei pensieri in una canzone, parto spesso dai versi perché sono più discorsivi e nelle mie note è pieno di concetti che voglio riuscire a spiegarmi. Una cosa che non voglio che manchi mai è il bridge, mi piace troppo quando la canzone prende una svolta diversa, è il momento che aspetto di più quando ascolto qualcosa perché di solito è diverso dalle strofe e il ritornello.
A livello internazionale penso che ci sia più apertura che in Italia, ovviamente non mi piace la direzione della canzone corta che sta prendendo sempre più il sopravvento, io capisco che è anche questione di marketing, ma alla fine è l’ascoltatore che decide cosa è bello o meno, Bohemian Rhapsody non era una canzone di 3 minuti precisi, ma è sicuramente una delle più belle mai scritte e composte e se è tutta intera ancora oggi è solo grazie al pubblico che l’ha apprezzata in tutti i suoi lunghissimi 5:54 minuti. Una canzone deve essere autentica o -secondo me- non ti emoziona a sufficienza, non abbraccia chi la ascolta.
Invece nel panorama italiano secondo me ci sono ancora troppe poche donne nelle classifiche e ancora molta incertezza con il cantare in Inglese… Su quest’ultimo punto sembra come se la strada e il successo che hanno spianato e avuto Elisa, Zucchero e ora anche i Måneskin, non sia una dimostrazione sufficiente di come anche un artista italiano possa superare il confine e farsi sentire anche fuori da casa. Io sarò di parte perché scrivo in inglese, ma questo è quello che percepisco nel panorama attuale.
Tutto è partito da un giro molto semplice di accordi, le note del mio telefono e una registrazione. Ho mandato la demo allo studio dove ho inciso tutto il mio EP, il Blair Witch House Studio, e dato un po’ di direttive su quale stile avrei voluto l’arrangiamento, poi ci siamo ritrovati, dopo le prime bozze, per discutere di cambiamenti e registrarla e devo dire che ce ne siamo innamorati tutti già dai primi ascolti. Ha qualcosa di speciale e autentico per me questa canzone.
What if fa parte di un EP che uscirà presto, si chiama Drowning, ed è composto da cinque canzoni tutte di generi abbastanza diversi tra loro, unite da un’unica tematica che mi sta a cuore: la salute mentale, la solitudine, l’ansia, la paura di non essere ricambiati e l’arte come terapia.