L’artista costruisce il suo universo musicale partendo da esperienze reali, trasformandole in immagini e suggestioni che sembrano provenire da un film. “Au Revoir” diventa così una finestra sul tempo: ogni verso è una scena che rievoca scelte, errori e consapevolezze, fino a restituire allo spettatore una storia di evoluzione personale.
Nel dialogo con Effetto Musica, Dose racconta il suo modo di scrivere come un atto istintivo e sincero, capace di fondere autobiografia e immaginario visivo. Lontano dall’idea di riscrivere la realtà, sceglie piuttosto di reinterpretarla, cercando di migliorarla attraverso la musica.
Un brano che non chiude un capitolo, ma ne apre molti: “Au Revoir” è la colonna sonora di chi impara a salutare il passato senza smettere di credere nel domani.
La tua musica nasce da esperienze reali ma assume una forma quasi cinematografica: è una scelta consapevole?
Innanzitutto grazie per questo paragone!
Sinceramente no, credo sempre qualcosa che piace a me e a chi collabora con me, se questa è l'impressione direi WOOOW
Quanto credi che la visione artistica possa riscrivere la realtà?
Ma credo che non debba riscrivere la realtà, ma migliorare il processo futuro.
“Au Revoir” parla di distacco, ma anche di rinascita: è un addio o un nuovo inizio?
Au Revoir, è un semplice arrivederci.
Verso situazioni chiuse, verso stati d'animo che si possono ripresentare. Non è che apre o chiude un capitolo, ma ne racconta molti in uno solo.
Ti senti più narratore della tua vita o osservatore del mondo?
Scusa il gioco di parole, ma detto alla buona
Io mi sento il narratore verso il "mondo" in base a quello che osservo (vedo) nella mia vita.
Se potessi trasformare “Au Revoir” in un’immagine o in un corto, come lo rappresenteresti?
Come se lo spettatore guarda allo schermo il me di oggi, che guarda in TV delle scelte fatte in passato che ha raccontato nei sui testi più attuali.

