In occasione del rilascio del loro nuovo singolo “Disarmonica”, abbiamo avuto il piacere di intervistare Valerio “Gandalf” batterista dei Drop Circles. Questo gruppo è nato nella primavera del 2011 dalle ceneri di alcune band della scena rock fiorentina e naviga da anni nelle torbide acque del Grunge.
Come è cambiata la vostra musica dal vostro debutto nel 2011 ad oggi?
La matrice è sempre la stessa, le radici rimangono ancorate al nostro passato come fonte di ispirazione. Si sono alterati i suoni, avendo cambiato due componenti (chitarra e basso) dalla prima formazione, che per forza di cose avendo significativi modi diversi di suonare si sono riflessi sul sound generale della band. Ad esempio, la chitarra nel primo disco ha suono più scuro e introspettivo rispetto a quella di ora, mentre il basso all’epoca era più brillante, più slappato rispetto al “tappeto” attuale. Questo ci ha permesso di comporre in maniera diversa rispetto all’inizio, approcciando alcune sonorità nuove, ma come dicevo all’inizio, rimanendo fedeli ai nostri gusti (allineati).
Qual è stato il momento più difficile che avete affrontato come band?
Pandemia a parte (fonte di ispirazione anche di Disarmonica, ma lo vedremo dopo), non abbiamo avuto veri e propri momenti difficili come, ad esempio, blocchi creativi o scazzi “grossi” interni. Sicuramento lo scoglio maggiore è stato quello del cambio del terzo e attuale bassista. Dopo, infatti, solo un paio d’anni dal cambio del secondo, ci siamo trovati costretti a rimetterci in cerca, con le classiche audizioni derivanti da annunci appesi su social e sale prova. Abbiamo faticato molto a trovarlo, memori soprattutto della delusione precedente. Questo ci ha scoraggiato molto, anche perché avevamo tante date live in vista e pezzi nuovi da scrivere e oltretutto sapevamo che avremmo dovuto comunque spendere molto tempo, una volta trovato, a fargli imparare i pezzi nostri rallentando quindi notevolmente la nostra nuova composizione. Ma abbiamo resistito e la pazienza ci ha premiato!
C'è una canzone nel vostro repertorio a cui siete particolarmente affezionati? Perché? Personalmente è il primo pezzo che abbiamo scritto, che è “Capitolo 1” (giusto appunto). Ha una melodia fra l’accattivante e il granitico, non manca quasi mai nelle nostre scalette anche perché è una delle poche che rimane in testa subito quando l’ascolti. Fra l’altro ci siamo particolarmente affezionati, visto che è il pezzo con cui siamo andati a Sanremo Rock e che ci ha permesso di passare le selezioni on line e la finale regionale fino ad arrivare direttamente all’Ariston.
Come vi preparate per un concerto? Avete qualche rituale particolare?
L’unico rito “comune” che abbiamo e lo stringersi in cerchio (circle) prima di iniziare il live (di solito direttamente sul palco ma a volte anche in camerino) e unire i nostri pugni caricandoci a vicenda. Tutti poi personalmente ci scaldiamo sia muscolarmente che “allargando la mente”, ma chi ha un vero e proprio rito è il cantante che, sentendo molto la tensione pre-live, con le cuffie a tutto volume si isola da tutti, scaldando sia le corde vocali e facendo flessioni come se fosse in palestra. Il nostro divertimento è prenderlo per il culo mentre sembra un personal trainer (senza averne il fisico!) con l’ugola ribelle.
Come gestite le differenze creative all'interno della band?
Siamo abituati ormai ai nostri caratteri in fase compositiva e spesso la comprensione delle nostre differenze, dopo tutti questi anni insieme, è la componente principale.
Questo però non supera le testardaggini personali, soprattutto mia e del cantante che spesso diventano veri e propri teatrini a cui gli altri due assistono quasi divertiti.
Spesso, infatti, ci impuntiamo su passaggi/stacchi e melodie per quasi tutta una prova, senza venirne ad una conclusione immediata, ma quasi sempre dopo scazzi e infamate si trova la giusta via di mezzo che accontenta tutti o (molto di rado) qualcuno cede.
Ecco, la nostra prerogativa è che in fase compositiva, quando il pezzo si può dire concluso siamo tutti contenti e soddisfatti senza che nessuno sia sceso a compromessi troppo profondi che abbiano inficiato il gusto del nostro sound, diciamo siamo una band molto democratica e se tutti non sono contenti non si va avanti.
Come vi sentite quando vedete qualcuno cantare le vostre canzoni durante un concerto?
Come dicevo su Capitolo 1 questo è uno dei pezzi con una melodia più diretta che per chi la conosce già fa davvero cantare a squarciagola sul ritornello e allo stesso tempo “cattura” chi non la conosce. Quindi ad esempio su un pezzo come questo la soddisfazione di vedere qualcuno che la conosce e la intona con noi è immensa, immedesimandoci a quando lo facciamo noi nei live delle nostre band preferite.
Da dove è nata l'ispirazione per il testo di "Disarmonica"?
Come accennato in precedenza l’ispirazione è stato il disagio di chiusura obbligata durante il lock down, dove (per fortuna) tante band come noi hanno trovato la forza di continuare a scrivere a distanza, mandandosi le proprie registrazioni per poi suonarci sopra.
Per noi è’ stato davvero un momento tanto infelice e doloroso, quanto evocativo per la composizione di pezzi nuovi come appunto Disarmonica, il cui testo fra l’altro ho scritto io, parafrasando quei momenti in cui mi sentivo in gabbia “affinando la mia libertà” e sentendomi “sottoscacco”!
Infine, c'è un messaggio particolare che volete trasmettere attraverso "Disarmonica"?
Si il messaggio è quello di avere la caparbietà di continuare a credere in quello che fai anche se le condizioni esterne (in questo caso mondiali) sono particolarmente avverse. Questa testardaggine e tenacia ha davvero salvato la sobrietà mentale di tante persone in quei momenti di disagio, essendo la musica e la creatività un’ancora di salvezza a cui non si può rinunciare.